High Fidelity

Il giorno prima del presunto appuntamento con Caroline, ma­nifesto tutti i sintomi classici della cotta: spasmi nervosi allo stomaco, lunghe fantasticherie ad occhi aperti, assoluta inca­pacità di ricordarmi com’è fatta. Riesco a richiamare alla me­moria il suo vestito e gli anfibi, e mi sembra di vedere una frangetta, ma la faccia è uno spazio vuoto, e lo riempio con i particolari anonimi che prendo a prestito da una qualunque e generica donna ideale – labbra rosse e carnose, anche se in Ca­roline ad attirarmi è stata proprio l’aria da brava ragazza ingle­se acqua e sapone; occhi a mandorla, anche se ha tenuto su gli occhiali da sole per quasi tutto il tempo; pelle bianca e perfet­ta, anche se ricordo un sacco di lentiggini. Quando la vedrò, so già che avrò una fitta di delusione – tanto subbuglio interio­re solo per questa qua ? – e che poi troverò qualche altra cosa per cui eccitarmi di nuovo: il fatto puro e semplice che si sia presa di briga di venire, la voce sensuale, l’intelligenza, lo spi­rito, qualcosa. E tra il secondo e il terzo appuntamento nasce­rà tutta una nuova serie di miti. Stavolta però la faccenda va diversamente. E proprio a cau­sa dei sogni ad occhi aperti. Faccio la solita cosa – immagino nei più minuti particolari l’intero corso della relazione, dal pri­mo bacio, al letto, alla convivenza, al matrimonio (in passato mi è capitato persino di stilare la lista dei nastri da mettere alla festa di nozze), e a come sarà carina quando sarà incinta, e persino ai nomi dei bambini – finché di botto non mi rendo conto che non è rimasto più niente che possa effettivamente accadere. Ho fatto già tutto, ho già vissuto per intero la nostra relazione nella mia testa. Ho guardato il film andando avanti-veloce; so la trama, conosco il finale, e le scene migliori. Ora mi tocca riawolgere la videocassetta e riguardarla daccapo, in tempo reale, e che gusto c’è?

Ma cazzo… quando finirà questa storia? Continuerò tutta la vita a cercare di passare il guado saltando da una pietra all’al­tra, finché non ce ne saranno più? Sarò sempre costretto a cor­rere ogni volta che mi sentirò bruciare la terra sotto i piedi? Perché, a conti fatti, questo mi capita, più o meno ogni tre me­si, in contemporanea con l’arrivo delle bollette. E durante la nostra Estate Britannica anche più spesso. È da quando ho quattordici anni che ragiono con le viscere. E per dirla tutta, ma che resti fra voi e me, adesso ho capito che nelle viscere c’è materia fecale, non cerebrale.

So cosa non va con Laura. Quello che non va con Laura è che io non la vedrò mai più per la prima, per la seconda, o per la terza volta. Non passerò mai più due o tre giorni in preda all’agitazione, cercando di ricordare com’è fatta, mai più arri­verò in un pub mezz’ora prima dell’appuntamento, e fisserò il medesimo articolo di una rivista sbirciando l’orologio ogni trenta secondi. Certo, la amo e mi piace e con lei ho delle belle conversazioni, un sesso piacevole e intense discussioni, e lei si occupa e si preoccupa per me e organizza la faccenda del Groucho, ma quanto conta tutto questo, quando qualcuna con le braccia nude, un sorriso carino e un paio di goffe Doc Martens ai piedi entra in negozio e dice che vuole intervistar­mi? Conta poco o niente, ecco la verità, ma forse dovrebbe contare un po’ di più. Cazzo. Manderò il nastro a Caroline per posta. Forse. 

da "High Fidelity" di Nick Hornby

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